“LA BANDA DELLA GAZZOSA”. IRONIA E RICORDI DI UN RAGAZZO DEL 1968. QUANDO LA BANDA MUSICALE E I SUOI COMPONENTI ATTIRAVANO CURIOSITA’ E INTERESSE PER LA MUSICA E GLI STRUMENTI MUSICALI.

by Mimmo

La “banda” della gazzosa.

E’ il ricordo di momenti di spensieratezza vissuti nei giorni di festa quando nei tanti paesi del Sud le feste patronali estive erano e sono ancora momenti di aggregazione, di ilarità di giocoso divertimento. E’il racconto che ci fa un insegnante: Domenico Bertolli che torna indietro nel tempo in cui vedere una banda musicale in azione significava anche partecipare a tutto ciò che facevano gli uomini in divisa, berretto e stumenti per allietare la giornate nei dì di festa.

Domenico Amleto Bertolli è nato in Svizzera nel 1968, ha iniziato gli studi in Italia, immerso sin da tenera età, nelle realtà musicali del nonno paterno che era primo clarinetto nella Banda Musicale di Fontecchio (L’Aquila), e dello zio materno, anche quest’ultimo clarinettista ma nella Banda Musicale di Matino (Lecce). Queste due figure fondamentali di musicisti hanno contribuito ad alimentare in Domenico Bertolli l’interesse nei confronti del mondo musicale, portandolo alla naturale conseguenza di confrontarsi con il primo “importante” strumento musicale, il clarinetto, che iniziò a studiare presso la Studio Musicale del M° Caggiula. Domenico Bertolli oggi è docente presso l’Istituto Tecnico per geometri “Galileo Galilei” di Lecce, continua, però, ad essere un grande appassionato di strumenti musicali, della loro storia evolutiva e del loro impiego nelle tradizioni popolari.

Domenico Bertolli

I tempi a cui mi voglio riferire,  sono quelli dei ricordi che si riaccendono al solo pensiero del gusto di un sorso “alla bottiglia” fatto sotto il caldo sole estivo salentino: Ah che frescezza!, la ricordo come fosse oggi. Un sorso ed un altro ancora, fino in fondo, proprio come quando, un po’ più che bambini, facevamo prima la gimkana fra i tavolini dei bar all’aperto, raccogliendo le solitarie ed incustodite bottiglie e poi correvamo dietro alla banda nei giorni di festa.
Restavamo rapiti a sentire un “pezzo” eseguito in cassarmonica dai musicanti ed un altro ancora, suonato dai Maestri in giacca e cravatta, così attillati ed eleganti, con l’immancabile berretto, sormontato da onorato stemma, ma anche dalla presenza di innumerevoli gocce di sudore, madide dell’impegno e della bravura, che solcavano i volti imbruniti dal sole ed incrinati dal trascorrere del tempo, in quelle giornate per noi ragazzi festose, e per i musicanti pieni di grande spirito di sacrificio.

Una delle bande musicali in azione negli anni ’70

Le bottiglie vuote divenivano i nostri strumenti accompagnatori , insufflate come incorporei strumenti “a sfiato” o percosse da piegati ed appiccicosi stecchi dello zucchero filato appena divorato o ancora raccolti da terra a seguito di furiosa scorribanda fra noi aspiranti batteristi. Che conquista quelli stecchi!. Li difendevamo come trofeo rinvenuto tra le scanalature delle levigate e bollenti pietre calcaree, le “chianche” dure piete calcaree levigate che lastricavano le nostre vie, le nostre piazze, che molto spesso assaporavano la tenera ed a volte inesistente protezione delle giovani ginocchia! Come sfacciati direttori di banda, ognuno con la sua interpretazione, ognuno col suo tempo musicale, scimmiottavamo le movenze con gli strumenti appena nati e, nonostante l’evidente disturbo agli astanti, l’entusiasta ed imberbe esecuzione, alla fine tramutava l’atmosfera tensiva in un sorriso amorevole, che ci proteggeva così come eravamo, nelle nostre corte divise estive, completate dai famosi sandali “con gli occhi”, dai quali, per i più a modo, uscivano fuori i calzini merlettati di due taglie più grandi: quelli usati dal fratello maggiore l’estate prima. Che immensa gioia alla fine della parata, quando i Maestri suonatori ponevano le protezioni ai loro strumenti, ora sì che ci si poteva esprimere “a tutta birra”.

la distribuzione di mollette per reggere gli spartiti sul leggio

Era un attimo e venivano alla luce tutte le nostre innate qualità artistiche, tutto il nostro esagerato spirito d’intrattenimento, fortunatamente gradito anche ai musicanti che divertiti e rilassati, si facevano seguire e raggiungere sino al momento del loro “effervescente” e meritato ristoro. Chi non ha mai ricevuto in dono i “baffi del nonno”?. Per i più audaci ed incontrollati di noi “neomusicisti” quel momento rappresentava l’aspirazione più grande, assaggiare l’effervescente bevanda, la gazzosa mescolata alla birra, proprio come facevano i nostri nonni.  L’assaggio del primo sorso della gustosa bibita in dei bicchieroni col manico, stracolmi di schiuma, lo avverto ancora oggi, spumeggiante sulle labbra. La “canaglia” di turno della nostra “banda” che avesse colpito il centro della grancassa con la “mazza”, o fosse riuscito ad emettere un sibilo con la tromba o il clarinetto dei Maestri, sarebbe stato il vincitore del “baffo del nonno”. ​

si stappa la spumeggiante bevanda ristoratrice

A volte riuscivamo, perdendo la mazza a seguito del vibrante rimbalzo oppure emettendo una specie di pernacchia con gli strumenti, a provocare il sollazzo nei divertiti musicanti che a riposo, senza i loro berretti, cercavano refrigerio, assembrati negli spigoli delle risicate ombre dei palazzi del centro. Erano come “uomini mascherati”, proprio come nel periodo di carnevale, muniti di una maschera che lasciava scolorita la fronte a causa della visiera, e che non andava via quando con le stoffe dei loro “mouchoirs” o “maccaluri” si asciugavano il sudore. Tutto ciò a noi giovani canaglie ispirava ilarità e
divertimento.
                             Domenico Amleto Bertolli

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