HENRY COWELL E IL CONCERTO PER PIANOFORTE E BAND Ce ne parla il musicista, compositore e docente di composizione Biagio Putignano

by Mimmo

Ecco un’altro interessante appuntamento con i brani originali per banda. Ce ne parla il musicista e compositore salentino Biagio Putignano.

LA PRODUZIONE DI MUSICA ORIGINALE PER ORCHESTRA DI FIATI NEL ‘900: LITTE CONCERT FOR PIANO AND BAND DI HENRY COWELL

un’immagine giovanile di Henry Cowell

Facendo un passo indietro rispetto a Luciano Berio, troviamo un curioso personaggio americano, Henry Dixon Cowell (1897-1965), uno dei maestri di John Cage (1912-1992), anch’egli eclettico e quanto mai sperimentatore a tempo pieno. La sua formazione, tipicamente americana, quindi disomogenea, lo libera dai vincoli dell’accademismo, tanto da portarlo subito a sperimentare nei suoi concerti quegli interventi in cordiera dentro il pianoforte così famosi in Cage,

John Cage

ad inventare nuovi strumenti o a nuove combinazioni tra strumenti. In questa ottica, nel 1957, scrisse un breve pezzo per pianoforte e “band” ovvero una formazione eterogenea in cui erano raggruppati vari strumenti a fiato, legni e ottoni, con strumenti a percussione: tra tutti, primeggiava il pianoforte, trattato però in un modo assolutamente avanguardistico. Il solista quindi non procedeva con una propria linea melodica, ma per grandi grappoli di suoni, chiamati clusters, che l’esecutore doveva eseguire o con l’intero avambraccio o con l’ausilio di barre di legno sulla tastiera. Tali soluzioni spostavano l’intero spettro acustico verso la condizione dell’inarmonicità, in quanto mettevano in gioco, in modo disordinato quelle note estranee, le cosiddette parziali, non appartenenti alla piramide acustica armonica del suono in questione. Inizialmente, la composizione si muove in stile antifonale, per poi ricomporsi in maniera massiccia verso il climax del finale, dove improvvisamente appare una sorpresa: nella complessità della texture orchestrale. Il solista restringe gli spessori dei clusters per ridurli ad accordi di cinque suoni diatonici: questo espediente restituisce al ruolo del solista una momentanea lucentezza sonora, che svanisce dopo poche battute, assorbita dalla pesantissima scrittura alla ‘bydlo’ mussorgskijana del finale. Partitura sperimentale che unisce due personaggi-strumento emblematici ma antitetici nell’immaginario musicale comune: il pianoforte, strumento polifonico che vive nel chiuso dei teatri, simbolo dell’elegante salotto chopiniano, delle giocose pagine mozartiane, o delle severe atmosfere beethoveniane, e la banda, la tipica formazione out door, somma di tanti strumenti monodici, non necessariamente affidata a mani espertissime nell’intonazione, nell’emissione del suono o nella quadratura ritmica. In questa dicotomia, Cowell ci lascia un piccolo gioiello e ci lancia alcune sfide. La prima: l’esecuzione del concerto determina non pochi problemi di equilibrio fonico. Principalmente perché la diffusione sonora del pianoforte, sempre radiale, protende ad espandersi verso l’alto, mentre quella dei fiati spinge frontalmente per il sostegno delle campane di vario tipo e dimensione, paradossalmente anche quando questa appendice non c’è, come nel flauto. Un’ulteriore sfida è assegnata totalmente al solista, il quale, a prescindere delle soluzioni che intraprenderà avrà un bel da fare nell’ottenere la simultaneità di clusters così ampi e mobili, incastonati in un cesellato ritmo regolare. L’indicazione “slowy” con h=72 ripone le figure ritmiche in uno scrigno di regolarità, mentre l’armatura di chiave, con il solo b sulla nota si, ha un sapore esclusivamente esotico, e pone un quesito: come includere nei clusters pianistici questa alterazione?.

Henry Cowell, percussioni sulla tastiera

Al di là di queste osservazioni, va rimarcata la necessità di assecondare l’unità formale del concerto: ovvero, esso è in un solo movimento di breve durata, 7 minuti e mezzo secondo l’indicazione dell’autore, e al suo interno non ha ripartizioni tali da evidenziare censure. Per questo motivo, un brano del genere sorprende e diverte il pubblico, anche se la programmazione di una simile pagina deve fare i conti con la disponibilità di un pianoforte in loco. Un’ultima considerazione: Cowell parlava, nel 1930 di new musical resources non a caso, il titolo del volume edito in italiano da Ricordi-Lim col titolo “Nuove Risorse Muciscali”, e deve la sua notorietà più al fatto che pestasse, termine usato dai critici dell’epoca, la tastiera con assi di legno, che per le sue qualità di compositore e d’interprete. Iniziò la carriera come pianista.  Famoso tra il 1920 e il 1930, era attratto dalla musica orientale, per cui spese molte energie teoriche a tentare un’osmosi tra oriente ed occidente. Proprio in quest’ottica, saggiò le potenzialità dell’alea, della poliritmia e dell’elettronica, in un eclettismo che ai suoi contemporanei apparve eccessivo, ma aprì tante strade alle nuove generazioni.

Biagio Putignano

spartito del Little Concert for piano e band

Hernry Cowell compositore e innovatore statunitense

 

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